Scendo a Spring Street e mi dirigo verso la zona che sulla mappa è segnata come Little Italy. Fin dalla fine dell'800, Little Italy ha ospitato i nostri connazionali, in particolare i meridionali. Di questo ci si accorge subito da due cose: i nomi dei ristoranti (Vesuvio, Napoli, Sicilia, Puglia ecc.) e i negozi di souvenir pieni di magliette inneggianti alla Mafia e ai gloriosi tempi in cui i gangster italiani dominavano il quartiere.
Oggi resta molto poco di quella Little Italy, che metro dopo metro è stata risucchiata dalla sempre più grande Chinatown, con gli edifici, le insegne, gli odori e le facce cinesi.
Di Little Italy è rimasta quasi solo Mulberry Street, in cui il giallo e rosso cinesi lasciano il posto al tricolore italiano. Oltre ai ristoranti e ai negozi di souvenir, la via è piena di botteghe alimentari con prodotti tipici italiani, che hanno proprio quell'odore misto di salumi e formaggio delle nostre alimentari di un tempo, oggi fagocitate dagli ipermercati e rese asettiche dalle normative europee.
Non ho molto tempo: prendo due pezzi di pizza (considerato che siamo a Little Italy, ci sarebbe da aspettarsi molto di meglio...). Seduto al tavolo vicino a me c'è un tipo che, quando stiamo per uscire, mi chiede informazioni sulla metropolitana più vicina. La raggiungiamo insieme. Lui si chiama Joseph ed è di Orlando in Florida. Con cappello, occhiali e cappotto neri, sembra uscito da un film di Martin Scorsese. Scende un paio di fermate prima di me.
Io continuo, destinazione 68th Street, Hunter College.
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martedì 29 gennaio 2008
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