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venerdì 6 novembre 2009
Sindrome di Stendhal
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giovedì 5 marzo 2009
How y'all doin'?
Incoronata capitale mondiale della musica dal vivo, città al Mondo con la più alta percentuale pro capite di musica live, città "alternativa", meta di autostoppisti e hippies. Questa è Austin, capitale del Texas, dove la gente per strada ti saluta e negli autobus ti parla e quanto ci si incontra ci si dice cose strane tipo "hey, how y'all doin'?" o "hi y'all!".
Insomma, un posto da vedere e vivere, da South Congress Ave con i suoi caffè e il Continental Club e i negozi di stivali da cowboy, all'imponente sede del Cogresso in "stile Washington". Dal barbecue di "Iron Works" alla mitica serata di "Chicken Shit Bingo" del Ginny's Little Longhorn Saloon.
Qualche foto sperando di rendere almeno un po' l'atmosfera...
domenica 1 febbraio 2009
Chinese New Year Parade, Chinatown DC
Qualche foto dalla parata di questo pomeriggio, a Chinatown, per celebrare il Capodanno Cinese.
Copritevi le orecchie per i fuochi d'artificio!!! ....anzi no, potete non coprirle affatto perchè c'è una fuga di gas e il capo dei vigili del fuoco ha deciso che non è il caso di accendere la miccia...
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mercoledì 28 gennaio 2009
domenica 25 gennaio 2009
La Storia... vista da Puerto Rico
Un anno, forse più, in attesa del 20 gennaio 2009.
Un anno, forse più, in attesa che finisse il calvario della presidenza Bush.
Da quella notte di festa del 4 novembre, in attesa che i miei nuovi vicini finalmente mettessero piede nella Casa Bianca.
Più di due mesi ad aspettare questo momento storico, consapevole che un giorno avrei potuto raccontare ai miei nipoti che quando Barack Obama diventava il 44esimo Presidente degli Stati Uniti d'America, il primo nero, io c'ero!
...beh, ai miei nipoti dovrò raccontare qualcos'altro...
Mentre la Storia faceva il suo corso a pochi isolati da casa mia, io mangiavo costolette di maiale a "La Bombonera" in Calle San Franisco a San Juan Viejo, Puerto Rico.
Non capita spesso di avere quattro giorni di vacanza uno dietro l'altro; e poi il freddo, la confusione, il tutto per assistere alla Storia che si compie su un maxi schermo? Il tutto per poi raccontarlo a dei pargoli che, nella migliore delle ipotesi, non vedrano la luce prima di una cinquantina d'anni, e magari mentre io starò lì a raccontare rideranno pure sotto i baffi del nonno rimbabito che racconta sempre le stesse storie? Thanks, but no thanks!
Ho scelto il mare e il sole e la spiaggia caraibica di Puerto Rico, e non posso certo dire di essermene pentito.
Trascorro il primo giorno a San Juan, la capitale di questa piccola isola, territorio degli Stati Uniti e serbatoio di giovani ispanici da mandare alla guerra. Ce n'è diversi con me sull'aereo da Atlanta, e vengono accolti dalle famiglie con grande entusiasmo. In verità, tutti i passeggeri vengono accolti con un calore e clamori che non vedi, solitamente, all'uscita degli aeroporti washingtoniani.
A San Juan è in corso la Fiesta de la Calle San Sebastian: un fiume di gente nelle strade, con percussioni e trombe ad ogni angolo, a suonare e danzare, a bere e mangiare empanadas, fritte per la strada inondata dal profumo. Mentre sul grande prato che porta al forte in riva al mare, i bambini fanno volare gli aquiloni finchè non fa buio.
Gli altri due giorni li passo a Culebra, una minuscola isola a un'ora e mezzo di traghetto da Puerto Rico. Le foto (nel prossimo post) dicono di più di questo piccolo paradiso terrestre di quanto non possano dire le parole. Dirò solo che a due passi dal piccolo porto c'è "The Spot", dove un italo-svizzero e sua moglie servono pocket pitas e caffè espresso e garantiscono che si vive meglio in questo pezzo di terra di 11 chilometri per 5 in mezzo all'Atlantico che a Lugano.
Il tempo di tornare arriva troppo presto. Sul volo da San Juan ad Atlanta il cielo offre lo spettacolo di un coloratissimo tramonto, ignorato dagli occhi dei passeggeri fissi su schermi vari, come ipnotizzati dalla tecnologia, e impegnati a produrre ogni sorta di beep e click. Almeno finchè anche il tramonto non lo venderanno su iTunes...
Un anno, forse più, in attesa che finisse il calvario della presidenza Bush.
Da quella notte di festa del 4 novembre, in attesa che i miei nuovi vicini finalmente mettessero piede nella Casa Bianca.
Più di due mesi ad aspettare questo momento storico, consapevole che un giorno avrei potuto raccontare ai miei nipoti che quando Barack Obama diventava il 44esimo Presidente degli Stati Uniti d'America, il primo nero, io c'ero!
...beh, ai miei nipoti dovrò raccontare qualcos'altro...
Mentre la Storia faceva il suo corso a pochi isolati da casa mia, io mangiavo costolette di maiale a "La Bombonera" in Calle San Franisco a San Juan Viejo, Puerto Rico.
Non capita spesso di avere quattro giorni di vacanza uno dietro l'altro; e poi il freddo, la confusione, il tutto per assistere alla Storia che si compie su un maxi schermo? Il tutto per poi raccontarlo a dei pargoli che, nella migliore delle ipotesi, non vedrano la luce prima di una cinquantina d'anni, e magari mentre io starò lì a raccontare rideranno pure sotto i baffi del nonno rimbabito che racconta sempre le stesse storie? Thanks, but no thanks!
Ho scelto il mare e il sole e la spiaggia caraibica di Puerto Rico, e non posso certo dire di essermene pentito.
Trascorro il primo giorno a San Juan, la capitale di questa piccola isola, territorio degli Stati Uniti e serbatoio di giovani ispanici da mandare alla guerra. Ce n'è diversi con me sull'aereo da Atlanta, e vengono accolti dalle famiglie con grande entusiasmo. In verità, tutti i passeggeri vengono accolti con un calore e clamori che non vedi, solitamente, all'uscita degli aeroporti washingtoniani.
A San Juan è in corso la Fiesta de la Calle San Sebastian: un fiume di gente nelle strade, con percussioni e trombe ad ogni angolo, a suonare e danzare, a bere e mangiare empanadas, fritte per la strada inondata dal profumo. Mentre sul grande prato che porta al forte in riva al mare, i bambini fanno volare gli aquiloni finchè non fa buio.
Gli altri due giorni li passo a Culebra, una minuscola isola a un'ora e mezzo di traghetto da Puerto Rico. Le foto (nel prossimo post) dicono di più di questo piccolo paradiso terrestre di quanto non possano dire le parole. Dirò solo che a due passi dal piccolo porto c'è "The Spot", dove un italo-svizzero e sua moglie servono pocket pitas e caffè espresso e garantiscono che si vive meglio in questo pezzo di terra di 11 chilometri per 5 in mezzo all'Atlantico che a Lugano.
Il tempo di tornare arriva troppo presto. Sul volo da San Juan ad Atlanta il cielo offre lo spettacolo di un coloratissimo tramonto, ignorato dagli occhi dei passeggeri fissi su schermi vari, come ipnotizzati dalla tecnologia, e impegnati a produrre ogni sorta di beep e click. Almeno finchè anche il tramonto non lo venderanno su iTunes...
giovedì 4 dicembre 2008
Miami, FL
Dopo tanto tempo un nuovo viaggio e un nuovo post.
Mi alzo una mattina, circa un mese fa, con in testa l'idea di partire, destinazione Miami! La selezione è per esclusione: non ho abbastanza tempo per la California, non ho voglia del vento di Chicago, mi risparmio volentieri il gelo che in questa stagione comincia ad avvolgere Boston.
Dopo quasi un anno intero trascorso a Washington, Miami è la scelta giusta! Trovata ottima offerta per il volo e ostello a due isolati dalla spiaggia: il "Thanksgiving Weekend" si passa in Florida.
Memore della mia esperienza di New Orleans, cerco racconti di chi è passato prima di me per Miami, evitando guide turistiche e itinerari preconfezionati per i consumatori di questa distruttiva industria che è il turismo di massa.
La ricerca non dà, tuttavia, i risultati sperati: sembra che su Miami non sia stato scritto granchè. Mi accontento di qualche indicazione di carattere culinario e di un paio di nomi di parchi naturali appuntati sul taccuino. Guardo un paio di episodi di CSI in cerca di "landmarks" e impaziente di raggiungere la nuova meta (al mio ritorno ho poi scoperto un'altra serie TV, stesso genere e stessa città, ma molto più bella e che consiglio: "Dexter").
La prima mattina a Miami Beach è deludente. Dopo un breve giro di ricognizione comincio a chiedermi "perchè questo posto è così famoso e piace a tanti? e soprattutto cosa ci sono venuto a fare?". Ci sono locali notturni e ristoranti, tanti negozi e la spiaggia. Poco da fotografare, niente da esplorare o scoprire: è tutto lì, già pronto e servito.
La decisione allora è presa: spiaggia, sole e mare. Miami non ha niente di speciale in realtà, non è una città stimolante e più volte ho sentito associare la parola "superficiale" a questo posto. Non sembra esserci una vita culturale particolarmente attiva (eccezion fatta per qualche evento annuale come Art Basel attualmente in corso e un festival di musica elettronica o qualcosa di simile).
Miami è però senz'altro una città divertente, in cui godersi la spiaggia e la vita notturna. Una volta capito questo la mia vacanza diventa molto piacevole e rilassante, quello che ci vuole dopo un anno e soprattutto un'estate intera di lavoro.
Ho passeggiato su Ocean Drive e Lincoln Road, sorseggiato un Martini Dry al "super chic" Delano Hotel e mi sono goduto l'idromassaggio con vista sulla baia e sui palazzi di Downtown a casa di amici.
Da Puerto Sagua, su Collins Ave, ho fatto colazione con "cafe con leche", che per qualche motivo agli americani non viene mai di chiamarlo in inglese ("caffelatte, what is that? milk and coffee? who would have ever thought? milk and coffee mixed together, what an amazing drink!" Larry David): la stessa cosa che bevo ogni mattina, ma a Miami la si chiama in spagnolo, a New Orleans in francese e da Starbucks in italiano.
Ho fatto per la prima volta il bagno in un Oceano; ho percorso 14 miglia in bici su una strada circondata da paludi nella Shark Valley dell'Everglades Park, con gli alligatori a prendere il sole e a quanto pare non molto interessati dalle potenziali prede sue due ruote.
Ho visto il tramonto dalle "Keys" e i pellicani pescare nel mare; i vecchi esuli cubani che qualche mese fa festeggiavano la 'fine' di Castro giocare a domino e fumare il sigaro sulla Calle Ocho a Little Havana. Ho mangiato "ropa vieja" e bevuto "batido de mamey" e posso dire adesso di essere stato anche nel Nord del Sud America, nella "Big Orange", nel Sunshine State, in Miami, FL.
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mercoledì 5 novembre 2008
lunedì 18 agosto 2008
Le Olimpiadi a stelle strisce
Le Olimpiadi a stelle e strisce sono molto diverse da quelle tricolori.
Intanto, da qui a Pechino ci sono 12 ore di fuso orario e allora quasi tutto è già successo quando la mattina apri le pagine web e vai a cercare le notizie.
E le notizie sulle pagine web americane parlano solo degli atleti americani.
In Italia non abbiamo idea di cosa sia il nazionalismo, il patriottismo o come dir si voglia. C'è il legame ai colori azzurri, certamente; si seguono i nostri atleti, le nostre nazionali più di quelle degli altri, si esaltano i nostri campioni e via dicendo. Ma a leggere i giornali e sentire le TV da queste parti ci sembrerebbe di essere tornati indietro di settanta anni, all'esaltazione fascista della Patria Italia.
Personalmente non ho grande simpatia per le patrie, "nei miti della Patria Dio è morto" cantava il poeta... E ho qualche altra citazione sulla punta della lingua in fatto di patria, ma adesso non mi viene ("imagine there's no countries"? no, ce n'è anche un'altra).
La Patria qui è ovunque. Le bandiere nazionali che da noi si vedono solo quando vinciamo i mondiali di calcio e garriscono davanti ai palazzi istituzionali, qui le mette la gente davanti alla porta di casa.
Gli stadi e i palazzetti dello sport ne sono pieni e si canta l'inno prima dell'inizio di ogni partita di qualunque sport, giù il cappello dalla testa e sguardo fiero rivolto alla bandiera.
Ora, fin qui niente da obiettare, Paese che vai usanza che trovi...
Ma che dire del fatto che loro il medagliere lo fanno in modo da essere primi? La Cina è prima, attualmente, perchè ha vinto più ori, si sa! Viene prima chi ha vinto più ori, poi a parità si contano gli argenti e a parità i bronzi... Loro no! Loro contano solo il totale delle medaglie. Perchè? Per mettere la loro bella bandierina prima nel medagliere!
...e anche qui, non siamo d'accordo, ma ci si può adeguare...
Ma c'è una cosa, e qui chiudo, che davvero non si può accettare.
I 100 metri, dai tempi di Ben Johnson e Carl Lewis non ho mai perso la finale dei 100 metri. Ho atteso a volte ore e ore in piena notte per quei 10 secondi che decretano l'uomo più veloce del Mondo.
Quest'anno black out totale: Tyson Gay, l'americano fra i favoriti, esce in semifinale. La finale non vale la pena di essere vista. Niente diretta, niente differita, niente traccia nei notiziari. Solo dopo qualche ora la notizia e qualche foto su Internet.
Un record del mondo battutto in maniera spettacolare da un tal signor Bolt... Ma è giamaicano: la partita di hockey su prato femminile è decisamente più interessante, gioca la nazionale del più grande Paese del Mondo!
Intanto, da qui a Pechino ci sono 12 ore di fuso orario e allora quasi tutto è già successo quando la mattina apri le pagine web e vai a cercare le notizie.
E le notizie sulle pagine web americane parlano solo degli atleti americani.
In Italia non abbiamo idea di cosa sia il nazionalismo, il patriottismo o come dir si voglia. C'è il legame ai colori azzurri, certamente; si seguono i nostri atleti, le nostre nazionali più di quelle degli altri, si esaltano i nostri campioni e via dicendo. Ma a leggere i giornali e sentire le TV da queste parti ci sembrerebbe di essere tornati indietro di settanta anni, all'esaltazione fascista della Patria Italia.
Personalmente non ho grande simpatia per le patrie, "nei miti della Patria Dio è morto" cantava il poeta... E ho qualche altra citazione sulla punta della lingua in fatto di patria, ma adesso non mi viene ("imagine there's no countries"? no, ce n'è anche un'altra).
La Patria qui è ovunque. Le bandiere nazionali che da noi si vedono solo quando vinciamo i mondiali di calcio e garriscono davanti ai palazzi istituzionali, qui le mette la gente davanti alla porta di casa.
Gli stadi e i palazzetti dello sport ne sono pieni e si canta l'inno prima dell'inizio di ogni partita di qualunque sport, giù il cappello dalla testa e sguardo fiero rivolto alla bandiera.
Ora, fin qui niente da obiettare, Paese che vai usanza che trovi...
Ma che dire del fatto che loro il medagliere lo fanno in modo da essere primi? La Cina è prima, attualmente, perchè ha vinto più ori, si sa! Viene prima chi ha vinto più ori, poi a parità si contano gli argenti e a parità i bronzi... Loro no! Loro contano solo il totale delle medaglie. Perchè? Per mettere la loro bella bandierina prima nel medagliere!
...e anche qui, non siamo d'accordo, ma ci si può adeguare...
Ma c'è una cosa, e qui chiudo, che davvero non si può accettare.
I 100 metri, dai tempi di Ben Johnson e Carl Lewis non ho mai perso la finale dei 100 metri. Ho atteso a volte ore e ore in piena notte per quei 10 secondi che decretano l'uomo più veloce del Mondo.
Quest'anno black out totale: Tyson Gay, l'americano fra i favoriti, esce in semifinale. La finale non vale la pena di essere vista. Niente diretta, niente differita, niente traccia nei notiziari. Solo dopo qualche ora la notizia e qualche foto su Internet.
Un record del mondo battutto in maniera spettacolare da un tal signor Bolt... Ma è giamaicano: la partita di hockey su prato femminile è decisamente più interessante, gioca la nazionale del più grande Paese del Mondo!
martedì 22 luglio 2008
Gli americani e la Geografia
Si dice a volte che gli americani imparano la geografia bombardando i Paesi.
Forse è per questo che, non essendoci stati di recente interventi militari a stelle e strisce in Europa occidentale, il commesso di un negozio di scarpe, quando gli dico che sono italiano, mi risponde "Ah, mi dispiace, non parlo francese... Ma vieni da vicino Parigi?".
D'altra parte, neanche al soldato McCain, veterano di guerra e candidato dei Repubblicani alle Presidenziali 2008, le idee sono ancora molto chiare. In diverse occasioni ha fatto riferimento alla Cecoslovacchia, scomparsa nel 1993. Una volta conquistata la nomination dopo le primarie ha dichiarato: "Adesso comincerò la mia campagna elettorale: visiterò tutte e 13 le colonie!".
E fin qui solo problemi di aggiornamento, giustificabili considerata la veneranda età...
Ma che dire delle preoccupazioni espresse questa mattina in un'intervista ABC a proposito del confine Iraq-Pakistan?!

giovedì 26 giugno 2008
New Orleans / 7
Il "French Market" non è esattamente quello che mi aspettavo. Invaso da bancarelle cinesi e souvenir, è difficile trovare qualcosa di locale. E' comunque piacevole passeggiarci, mentre ci si rinfresca con una "snowball" (quella che Lecce si chiama " 'rattata ", ghiaccio tritato con sciroppi a piacere) dai 100° F umidi di New Orleans.
Compro un disco firmato "Preservation Hall" e un kazoo da una delle poche bancarelle interessanti. Prendo anche qualcosa da un hippy, che ha magliette, vestiti, bandane con colori psichedelici e fa braccialetti con pietre e perline.
Caratteristiche di New Orleans sono le cosiddette "streetcar", i vecchi tram che sono ancora uno dei mezzi principali per muoversi nella città. Ne prendo una per andare al "Bayou Boogaloo Jazz Festival". In molti mi hanno consigliato i "Soul Rebels", che suonano alle 19. Ci sono tre palchi, è pieno di gente di tutti i colori e le età. Si balla, si beve, si mangia, si ascolta la musica seduti sul prato. Colpisce l'eterogeneità della platea e soprattutto la presenza di persone anziane che sembrano faticare a ogni passo, ma non volerne sapere di perdere l'occasione di un nuovo concerto. C'è una bella atmosfera e mi viene voglia di tornare per l'altro festival, il più noto, leggendario, "Jazz Fest".
Nel libro di Walker avevo letto di "Donna's", un locale ai confini del French Quarter. Ci ho passato l'ultima sera in città. Forse è stato il momento in cui più ho sentito "il jazz". Non è tanto l'esecuzione in sè, ma l'atmosfera, il rapporto che questi musicisti creano col pubblico, o meglio direi la fusione fra pubblico e musicisti. Gli urletti di incitamento che ogni tanto si alzano nel locale durante un assolo fanno parte dell'assolo, fanno musica anch'essi. E così gli "yes indeed!" del batterista, nonchè leader del gruppo che sta suonando.
Prendo una Heineken e mentre la sorseggio chiacchiero con il tizio che raccoglie i soldi all'entrata. E' un DJ della radio locale, WWOZ 90.7 FM, anche questa leggendaria, con cui mi sono svegliato tutte le mattine grazie alla radiosveglia in albergo. Gli dico che sono arrivato da Donna's grazie al libro di Walker e mi stupisce sapere che lui non sappia di questo libro, dove si parla del posto in cui lavora.
Mi chiede se suono e da dove vengo. A Washington o a New York mi chiedono di solito da dove vengo e cosa faccio, qui la prima domanda è se suono e poi da dove vengo e, forse, dopo, anche che faccio... Mi chiede anche se in Italia c'è il jazz, gli dico che c'è, è anche abbastanza popolare. Però, dico, ad esempio nella mia città c'è un solo locale dove si suona jazz. Mi guarda come se gli avessi detto "sai, da dove vengo io la gente muore di fame e spesso è costretta al cannibalismo per sopravvivere". Abbandona lo sguardo pieno di compassione quando gli dico che da qualche parte in Italia c'è anche un grande festival di jazz a cui partecipano nomi importanti ogni anno, si fa scrivere su un biglietto il nome del festival e si ripromette di andare a cercarlo su Internet.
Se andate a New Orleans vi raccomanderanno certamente il "Muffuletta Sandwich" della Central Grocery. Il posto è un negozio di alimentari, come quelli che c'erano in Italia fino a una decina di anni fa o poco più e che ora stanno scomparendo inghiottiti dalle grandi catene. In più rispetto al nostro negozio di alimentari ha il posto per sedersi a mangiare. Questo famoso muffuletta sandwich pare sia una cosa italiana e, in effetti, ne ha la aspetto e anche il sapore. E' un pane bianco, imbottito con salame, mortadella e sottoli. Squisito!
Ma un'altra cosa da non perdere, seppur meno nota, è il "Ferdi's Special" di "Mother's". Trattasi di un panino gigante con dentro il "miglior prosciutto al forno al Mondo". Lo scopro gironzolando nei dintorni dell'hotel, e devo dire che è decisamente degno di nota. In più Mother's è fuori dagli itinerari turistici ed è frequentato soprattutto da gente del posto. E' una di quelle bettole in cui non si bada ai dettagli o al contorno, ma si va alla sostanza e i sapori non si risparmiano.
Compro un disco firmato "Preservation Hall" e un kazoo da una delle poche bancarelle interessanti. Prendo anche qualcosa da un hippy, che ha magliette, vestiti, bandane con colori psichedelici e fa braccialetti con pietre e perline.
Caratteristiche di New Orleans sono le cosiddette "streetcar", i vecchi tram che sono ancora uno dei mezzi principali per muoversi nella città. Ne prendo una per andare al "Bayou Boogaloo Jazz Festival". In molti mi hanno consigliato i "Soul Rebels", che suonano alle 19. Ci sono tre palchi, è pieno di gente di tutti i colori e le età. Si balla, si beve, si mangia, si ascolta la musica seduti sul prato. Colpisce l'eterogeneità della platea e soprattutto la presenza di persone anziane che sembrano faticare a ogni passo, ma non volerne sapere di perdere l'occasione di un nuovo concerto. C'è una bella atmosfera e mi viene voglia di tornare per l'altro festival, il più noto, leggendario, "Jazz Fest".
Nel libro di Walker avevo letto di "Donna's", un locale ai confini del French Quarter. Ci ho passato l'ultima sera in città. Forse è stato il momento in cui più ho sentito "il jazz". Non è tanto l'esecuzione in sè, ma l'atmosfera, il rapporto che questi musicisti creano col pubblico, o meglio direi la fusione fra pubblico e musicisti. Gli urletti di incitamento che ogni tanto si alzano nel locale durante un assolo fanno parte dell'assolo, fanno musica anch'essi. E così gli "yes indeed!" del batterista, nonchè leader del gruppo che sta suonando.
Prendo una Heineken e mentre la sorseggio chiacchiero con il tizio che raccoglie i soldi all'entrata. E' un DJ della radio locale, WWOZ 90.7 FM, anche questa leggendaria, con cui mi sono svegliato tutte le mattine grazie alla radiosveglia in albergo. Gli dico che sono arrivato da Donna's grazie al libro di Walker e mi stupisce sapere che lui non sappia di questo libro, dove si parla del posto in cui lavora.
Mi chiede se suono e da dove vengo. A Washington o a New York mi chiedono di solito da dove vengo e cosa faccio, qui la prima domanda è se suono e poi da dove vengo e, forse, dopo, anche che faccio... Mi chiede anche se in Italia c'è il jazz, gli dico che c'è, è anche abbastanza popolare. Però, dico, ad esempio nella mia città c'è un solo locale dove si suona jazz. Mi guarda come se gli avessi detto "sai, da dove vengo io la gente muore di fame e spesso è costretta al cannibalismo per sopravvivere". Abbandona lo sguardo pieno di compassione quando gli dico che da qualche parte in Italia c'è anche un grande festival di jazz a cui partecipano nomi importanti ogni anno, si fa scrivere su un biglietto il nome del festival e si ripromette di andare a cercarlo su Internet.
Se andate a New Orleans vi raccomanderanno certamente il "Muffuletta Sandwich" della Central Grocery. Il posto è un negozio di alimentari, come quelli che c'erano in Italia fino a una decina di anni fa o poco più e che ora stanno scomparendo inghiottiti dalle grandi catene. In più rispetto al nostro negozio di alimentari ha il posto per sedersi a mangiare. Questo famoso muffuletta sandwich pare sia una cosa italiana e, in effetti, ne ha la aspetto e anche il sapore. E' un pane bianco, imbottito con salame, mortadella e sottoli. Squisito!
Ma un'altra cosa da non perdere, seppur meno nota, è il "Ferdi's Special" di "Mother's". Trattasi di un panino gigante con dentro il "miglior prosciutto al forno al Mondo". Lo scopro gironzolando nei dintorni dell'hotel, e devo dire che è decisamente degno di nota. In più Mother's è fuori dagli itinerari turistici ed è frequentato soprattutto da gente del posto. E' una di quelle bettole in cui non si bada ai dettagli o al contorno, ma si va alla sostanza e i sapori non si risparmiano.
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mercoledì 18 giugno 2008
Bourbon Street - New Orleans / 6
Sono passate ormai settimane dal viaggio a New Orleans.
La memoria non mi accompagna più e gli appunti sul taccuino non sono abbastanza per farla ritornare. E allora mi trovo costretto, negli ultimi post sulla Città Crescente, a rinunciare all'ordine cronologico e andare per luoghi.
Cominciamo dalla celeberrima Bourbon Street, che verso sera si chiude al traffico e si prepara al caos. Ci sono passato, credo, tutte le sere, e una notte intera l'ho trascorsa lì.
Devo dire che la prima volta Bourbon St. stupisce ed entusiasma, la seconda diverte, la terza quasi annoia. Almeno questo è l'effetto che ha avuto su di me. La gente del posto non la frequenta più di tanto, fatta eccezione per un paio di locali dove si suona buona musica. Di questi uno è la "Preservation Hall", una stanzetta quadrata piena di gente tutte le sere, uno dei luoghi culto del jazz. L'altro è il "Funcky Pirate" dove si esibisce il "grande in tutti i sensi" Big Al Carson (guardare per credere). Stimato intorno alle 550 libre, il grande Al canta quasi tutte le sere e riempe il locale, diverte con il suo dialogo continuo col pubblico e incanta con la sua gran voce. E il Funky Pirate se lo tiene stretto ("International Known, Home Grown, Funcky Pirate Own").
Per il resto, Bourbon St. è un delirio alcolico, pieno di ragazze che si ubriacano e saltano da un locale all'altro ballando o baciando il primo (o i primi) che passano, di addii al nubilato e donne più o meno giovani in cerca di una notte di "trasgressione". Ovviamente, è di conseguenza pieno di ragazzi altrettanto ubriachi che fanno di tutto per approfittarne, toccare quello che più possono ecc. Per i meno intraprendenti, poi, ci sono sempre le "shot girls" (lo shot è il cicchetto) che girano per i locali con provette colorate, che poi versano con la bocca a chi le chiede, con relativo balletto, per soli 3$ (ma a volte ne versano due o tre contemporaneamente, oppure se ne fanno offrire una, col risultato che presto sono anche loro brille, insomma un circuito vizioso!).
Per la strada, poi, nel passaggio da un locale all'altro, le orde si fermano sotto i balconi che vengono presi in affitto e dove la gente trascorre la notte a guardar passare le persone di sotto e lanciare perline a chi urla, balla o si spoglia... E di questo ho già detto.
A completare il quadretto dei personaggi di Bourbon St. ci sono i Jesus Lovers, amanti di Gesù che ogni sera protestano contro la degenerazione della Strada, prendendosela un po' con tutti, dai gay ai fornicatori, dai bevitori alle ballerine ecc., brandendo la loro brava croce, finché non si chiude il sipario e anche per loro si fa mattina ed è ora di riposarsi e prepararsi per la prossima notte.
La memoria non mi accompagna più e gli appunti sul taccuino non sono abbastanza per farla ritornare. E allora mi trovo costretto, negli ultimi post sulla Città Crescente, a rinunciare all'ordine cronologico e andare per luoghi.
Cominciamo dalla celeberrima Bourbon Street, che verso sera si chiude al traffico e si prepara al caos. Ci sono passato, credo, tutte le sere, e una notte intera l'ho trascorsa lì.
Devo dire che la prima volta Bourbon St. stupisce ed entusiasma, la seconda diverte, la terza quasi annoia. Almeno questo è l'effetto che ha avuto su di me. La gente del posto non la frequenta più di tanto, fatta eccezione per un paio di locali dove si suona buona musica. Di questi uno è la "Preservation Hall", una stanzetta quadrata piena di gente tutte le sere, uno dei luoghi culto del jazz. L'altro è il "Funcky Pirate" dove si esibisce il "grande in tutti i sensi" Big Al Carson (guardare per credere). Stimato intorno alle 550 libre, il grande Al canta quasi tutte le sere e riempe il locale, diverte con il suo dialogo continuo col pubblico e incanta con la sua gran voce. E il Funky Pirate se lo tiene stretto ("International Known, Home Grown, Funcky Pirate Own").
Per il resto, Bourbon St. è un delirio alcolico, pieno di ragazze che si ubriacano e saltano da un locale all'altro ballando o baciando il primo (o i primi) che passano, di addii al nubilato e donne più o meno giovani in cerca di una notte di "trasgressione". Ovviamente, è di conseguenza pieno di ragazzi altrettanto ubriachi che fanno di tutto per approfittarne, toccare quello che più possono ecc. Per i meno intraprendenti, poi, ci sono sempre le "shot girls" (lo shot è il cicchetto) che girano per i locali con provette colorate, che poi versano con la bocca a chi le chiede, con relativo balletto, per soli 3$ (ma a volte ne versano due o tre contemporaneamente, oppure se ne fanno offrire una, col risultato che presto sono anche loro brille, insomma un circuito vizioso!).
Per la strada, poi, nel passaggio da un locale all'altro, le orde si fermano sotto i balconi che vengono presi in affitto e dove la gente trascorre la notte a guardar passare le persone di sotto e lanciare perline a chi urla, balla o si spoglia... E di questo ho già detto.
A completare il quadretto dei personaggi di Bourbon St. ci sono i Jesus Lovers, amanti di Gesù che ogni sera protestano contro la degenerazione della Strada, prendendosela un po' con tutti, dai gay ai fornicatori, dai bevitori alle ballerine ecc., brandendo la loro brava croce, finché non si chiude il sipario e anche per loro si fa mattina ed è ora di riposarsi e prepararsi per la prossima notte.
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domenica 8 giugno 2008
Foto - New Orleans / 5
venerdì 6 giugno 2008
Betcha I can tell ya where ya got dem shoes - New Orleans / 4
Ho fatto qualche ricerca su internet a proposito della storia delle scarpe.
Prima di andare avanti col racconto svelo il mistero.
Trattasi di raffinato espediente per spillare soldi a sprovveduti passanti. I tizi di cui sopra volevano fare una scommessa, cosa che io non ho colto sul momento perché non capivo tutto quello che dicevano.
Ti si avvicinano e ti dicono una cosa che in inglese vuol dire sia "scommettiamo che indovino dove hai preso quelle scarpe" che "scommettiamo che indovino dove hai quelle scarpe" (una cosa tipo "Betcha I can tell ya where ya got dem shoes").
Il malcapitato accetta la scommessa e si ritrova costretto a dover lasciare i suoi bravi 10$ quando il tizio gli dice qualcosa tipo "ce le hai ai piedi" oppure "ce le hai a New Orleans su Canal Street". Inutile aggiungere che una volta accettata la scommessa non è consigliabile allontanarsi senza onorarla.
New Orleans è una delle città più povere degli Stati Uniti e le cose vanno ancora peggio dopo Katrina. L'economia va a rilento e la corruzione della classe politica non aiuta a invertire la tendenza. New Orleans è una città in cui la povertà si vede per strada più che da altre parti, anche perché è meno confinata alle zone degradate della città, si mischia ai turisti e alla "gente bene".
New Orleans è una città piena di personaggi strani che ti fermano per la strada. Come quello che mi chiede se sono di New Orleans e quando gli dico di no mi chiede di fargli una foto e di portarla a casa e si inginocchia sorridente con la mano sul petto.
Prima di andare avanti col racconto svelo il mistero.
Trattasi di raffinato espediente per spillare soldi a sprovveduti passanti. I tizi di cui sopra volevano fare una scommessa, cosa che io non ho colto sul momento perché non capivo tutto quello che dicevano.
Ti si avvicinano e ti dicono una cosa che in inglese vuol dire sia "scommettiamo che indovino dove hai preso quelle scarpe" che "scommettiamo che indovino dove hai quelle scarpe" (una cosa tipo "Betcha I can tell ya where ya got dem shoes").
Il malcapitato accetta la scommessa e si ritrova costretto a dover lasciare i suoi bravi 10$ quando il tizio gli dice qualcosa tipo "ce le hai ai piedi" oppure "ce le hai a New Orleans su Canal Street". Inutile aggiungere che una volta accettata la scommessa non è consigliabile allontanarsi senza onorarla.
New Orleans è una delle città più povere degli Stati Uniti e le cose vanno ancora peggio dopo Katrina. L'economia va a rilento e la corruzione della classe politica non aiuta a invertire la tendenza. New Orleans è una città in cui la povertà si vede per strada più che da altre parti, anche perché è meno confinata alle zone degradate della città, si mischia ai turisti e alla "gente bene".
New Orleans è una città piena di personaggi strani che ti fermano per la strada. Come quello che mi chiede se sono di New Orleans e quando gli dico di no mi chiede di fargli una foto e di portarla a casa e si inginocchia sorridente con la mano sul petto.
martedì 3 giugno 2008
Vaughan's Lounge - New Orleans / 3
Arrivato in albergo sistemo le mie cose nella stanza e mi preparo per uscire.
Fra le cose che mi hanno segnalato c'è una serata di jazz che si tiene tutti i giovedì in un locale e non voglio perdermela.
Mi incammino. L'hotel è vicino al French Quarter, il centro storico di New Orleans. Ammetto di essere inizialmente un po' inquieto: sono già le 10 di sera, alcune strade sono buie e i tanti avvertimenti di fare attenzione in qualche modo mi influenzano, così come il giornale pieno di notizie su sparatorie e morti ammazzati. In realtà la cosa peggiore che mi capita è un tizio che mi si avvicina e mi dice qualcosa sulle mie scarpe. Non sarà l'unica volta, il giorno successivo un altro mi dice "so dove hai preso quelle scarpe"... Non capisco il senso e vado avanti.
Mi dirigo verso Bourbon Street, la strada famosa per i locali e per le perline che si lanciano dai balconi. Il lancio delle perline nasce dal Carnevale, durante il quale i carri che sfilano distribuiscono collanine luccicanti alle persone per la strada. Oggi però le si lancia praticamente ogni sera dai balconi di Bourbon Street, dove schiere di uomini più o meno giovani affittano balconi e comprano decine di collane da dare alle ragazze che passando per la strada mostrano le loro grazie per ottenere l'ambito premio. Anche il fenomeno contrario non manca a dire il vero, ma insomma, l'importante è riempirsi di collane, bere e far casino su Bourbon Street.
Quando finisce il tratto dei locali prendo un taxi e vado verso il Bywater, una zona adiacente al French Quarter, dove si trova il Vaughan's Lounge. Un postaccio, che a guardarlo da fuori non ci sarebbe nessuna ragione per pagare ben 10$ solo per entrare, e anche dentro niente di più di un bancone, muri "sgarrupati" e qualche tavolino. "It's all about jazz!", ciò che lo rende speciale è la musica, sono i tre musicisti neri e soprattutto quello che suona la tromba e fa ballare la compagnia. E quelli che proprio sono fermi almeno tamburellano con le dita sulla bottiglia di birra o battono il piede per terra.
C'è il juke box coi cd e un vecchio distributore di sigarette, di quelli che bisogna tirare la leva per far scendere il pacchetto. E c'è una copia del Times Picayune per terra, a ricordare, se ce ne fosse bisogno, che siamo a New Orleans, nella città dove il jazz è nato.
mercoledì 28 maggio 2008
I'm jazzed I'm here - New Orleans / 2
Decollare da Washington fa sempre un certo effetto. Dal Reagan National Airport si vedono tutti i monumenti e il Pentagono e la distesa verde sotto cui vive la città.
Sto attaccato al finestrino come sempre, finché le nuvole non nascondono il paesaggio. Poi mi metto a leggere le Lettere da New Orleans di Rob Walker, di cui mi mancano le ultime pagine. Sto finendo la lettera su "St. James Infirmary", una canzone con una storia singolare di cui poi dirò.
Poi Help! dei Beatles nell'iPod, il tempo che finisca e l'aereo comincia a scendere nelle paludi. Costeggia una strada che scorre sospesa sull'acquitrino, verde muschio e marrone di acqua che si estende a perdita d'occhio. Sembra di atterrarci dentro quando si arriva all'Aeroporto di New Orleans, il Louis Armstrong International Airport. "Welcome to New Orleans, we're jazzed you are here!" dicono i cartelli gialli blu. "Grazie -penso- anche io sono jazzed di essere qui".
Trovo lo shuttle che ho già pagato e mi porterà in albergo. Ho però dimenticato di stampare il voucher, bisogna telefonare alla compagnia e farselo faxare. Chiedo all'impiegata se per favore può parlare lei con la compagnia e lei gentilmente acconsente. Ci sarà da aspettare una mezz'oretta, dice che le dispiace, di andare in bagno o a prendere qualcosa da bere se voglio... Io invece vado a cercare una copia del giornale locale, The Times Picayune, perché da un giornale locale si possono capire tante cose, e soprattutto alla ricerca dei necrologi.
Le mie aspettative in merito sono deluse solo in parte: di necrologi ci sono ben due pagine e mezzo (altrettante ce ne saranno i giorni successivi), e ognuno ha la sua foto, e li leggo tutti per cercare almeno un funerale jazz. Questo però non lo trovo, mi dovrò accontentare dei concerti "dal vivo".
Nel frattempo ci si fa due risate con l'impiegata della compagnia dello shuttle e un altro inserviente dell'aeroporto, che a piacere storpiano il mio nome da Naicoul a Nicoulaa.
Ho letto quasi tutto il giornale e sono lì da circa un'ora quando finalmente risolvono e mi fanno il biglietto. L'attesa però non è pesata. Piove sulla strada che porta alla città e pioverà tutta la sera.
Sto attaccato al finestrino come sempre, finché le nuvole non nascondono il paesaggio. Poi mi metto a leggere le Lettere da New Orleans di Rob Walker, di cui mi mancano le ultime pagine. Sto finendo la lettera su "St. James Infirmary", una canzone con una storia singolare di cui poi dirò.
Poi Help! dei Beatles nell'iPod, il tempo che finisca e l'aereo comincia a scendere nelle paludi. Costeggia una strada che scorre sospesa sull'acquitrino, verde muschio e marrone di acqua che si estende a perdita d'occhio. Sembra di atterrarci dentro quando si arriva all'Aeroporto di New Orleans, il Louis Armstrong International Airport. "Welcome to New Orleans, we're jazzed you are here!" dicono i cartelli gialli blu. "Grazie -penso- anche io sono jazzed di essere qui".
Trovo lo shuttle che ho già pagato e mi porterà in albergo. Ho però dimenticato di stampare il voucher, bisogna telefonare alla compagnia e farselo faxare. Chiedo all'impiegata se per favore può parlare lei con la compagnia e lei gentilmente acconsente. Ci sarà da aspettare una mezz'oretta, dice che le dispiace, di andare in bagno o a prendere qualcosa da bere se voglio... Io invece vado a cercare una copia del giornale locale, The Times Picayune, perché da un giornale locale si possono capire tante cose, e soprattutto alla ricerca dei necrologi.
Le mie aspettative in merito sono deluse solo in parte: di necrologi ci sono ben due pagine e mezzo (altrettante ce ne saranno i giorni successivi), e ognuno ha la sua foto, e li leggo tutti per cercare almeno un funerale jazz. Questo però non lo trovo, mi dovrò accontentare dei concerti "dal vivo".
Nel frattempo ci si fa due risate con l'impiegata della compagnia dello shuttle e un altro inserviente dell'aeroporto, che a piacere storpiano il mio nome da Naicoul a Nicoulaa.
Ho letto quasi tutto il giornale e sono lì da circa un'ora quando finalmente risolvono e mi fanno il biglietto. L'attesa però non è pesata. Piove sulla strada che porta alla città e pioverà tutta la sera.
A city with personality - New Orleans / 1
Riordinerò presto i miei pensieri su New Orleans, da cui sono tornato l'altro ieri.
Solo una breve considerazione per ora.
Qualche giorno prima di partire sono andato in libreria. Avevo in mano 3 libri: una guida Frommer e due libri di autori che hanno vissuto a New Orleans e hanno voluto raccontarla. Dopo qualche attimo di indecisione, ho lasciato perdere la guida e ho preso gli altri due. Poi qualche dritta da chi c'era stato prima di me e una mappa hanno fatto il resto.
Solo una breve considerazione per ora.
Qualche giorno prima di partire sono andato in libreria. Avevo in mano 3 libri: una guida Frommer e due libri di autori che hanno vissuto a New Orleans e hanno voluto raccontarla. Dopo qualche attimo di indecisione, ho lasciato perdere la guida e ho preso gli altri due. Poi qualche dritta da chi c'era stato prima di me e una mappa hanno fatto il resto.
A New Orleans si può andare con due stati d'animo diversi: voglio bere e divertirmi è il primo; voglio capire questo posto è l'altro. Credo di essere riuscito a fondere bene entrambi gli aspetti, per quanto il secondo sia quello che ho privilegiato.
Non sono sicuro, in effetti, di aver capito New Orleans. Di certo, però, posso dire che a ragione in entrambi i libri che ho letto prima di andarci e mentro ero lì, si descrive New Orleans come un posto unico al Mondo, una città che non lascia indifferenti, "a city with personality".
Non sono sicuro, in effetti, di aver capito New Orleans. Di certo, però, posso dire che a ragione in entrambi i libri che ho letto prima di andarci e mentro ero lì, si descrive New Orleans come un posto unico al Mondo, una città che non lascia indifferenti, "a city with personality".
Rob Walker - Letters from New Orleans
Tom Piazza - Why New Orleans Matters?
[William Faulkner - New Orleans Skecthes]
sabato 10 maggio 2008
martedì 22 aprile 2008
unsubscribe-me
Se Jack Bauer usa la tortura per ottenere informazioni dai terroristi e salvare gli Stati Uniti da un catastrofico attacco, siamo tutti con lui. Lui è l'eroe e vogliamo che faccia tutto ciò che è necessario per fermare i cattivi.
Lo stesso discorso non vale nella realtà. Jack è solo un personaggio di una serie TV: quello che a lui è concesso, non può esserlo ai veri Jacks che hanno a che fare coi veri terroristi.
Secoli fa Cesare Beccaria ha spiegato che la tortura non si giustifica mai. Ora la chiamiamo una violazione dei diritti umani, ma purtroppo si continua ad usarla. Questa gente pensa di dover fare tutto ciò che è necessario per combattere il terrorismo. Non capiscono che la violenza non può essere combattuta con altra violenza.
UNSUBSCRIBE-ME è una campagna di Amnesty International contro gli abusi dei diritti umani nella "guerra al terrorismo", e in particolare contro la pratica del waterboarding. Clicca qui per aderire.
Lo stesso discorso non vale nella realtà. Jack è solo un personaggio di una serie TV: quello che a lui è concesso, non può esserlo ai veri Jacks che hanno a che fare coi veri terroristi.
Secoli fa Cesare Beccaria ha spiegato che la tortura non si giustifica mai. Ora la chiamiamo una violazione dei diritti umani, ma purtroppo si continua ad usarla. Questa gente pensa di dover fare tutto ciò che è necessario per combattere il terrorismo. Non capiscono che la violenza non può essere combattuta con altra violenza.
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lunedì 14 aprile 2008
Sakura Matsuri
giovedì 3 aprile 2008
Oh man, what a game!
Ragazzi, che partita ieri al Verizon Center!
Washington Wizards contro Milwaukee Bucks. I Wizards realizzano il primo canestro e restano in vantaggio per tutta la partita, con un distacco massimo di 11 punti.
La grande sorpresa arriva intorno al 5 minuto del primo quarto. Applausi e urla iniziano ad arrivare dagli spettatori piu' vicini alla panchina e presto tutto il pubblico sembra in delirio. Non capisco cosa succede, perche' in campo non succede niente di esaltante, forse il gioco e' addirittura fermo. Ma dopo qualche secondo tutto si spiega: entra Arenas!
Gilbert Arenas, numero 0, e' la "stella" dei Wizards. E' stato fuori per quasi tutta la stagione a causa di un infortunio al ginocchio e rientra proprio oggi, a sorpresa, dopo 66 partite.
La differenza si fa sentire subito: prima palla toccata e primo canestro. In 19 minuti fa 17 punti e 2 assist.
La partita e' spettacolare, con belle azioni da una parte e dall'altra e si accende soprattutto con un paio di schiacciate di Young.
Anche negli intervalli lo spettacolo non manca. A parte i soliti lanci di magliette e tacos e i giochetti con le videocamere (kiss cam, dance cam ecc.), la mascotte G-Man si esibisce in un numero di schiacciate acrobatiche.
Siamo nell'ultimo quarto quando e' proprio Arenas a segnare il 100esimo punto per i Wizards. I Bucks pero' sono sempre la', hanno intorno ai 5 punti di distacco.
Le ultime fasi di gioco hanno dell'incredibile. I Bucks raggiungono e superano la squadra di casa! Mancano 15 secondi quando Arenas con due tiri liberi riporta i Wizards in vantaggio. Siamo 109-108.
Il tempo sul cronometro corre via: 5, 4, 3, 2... Fallo! Il tempo si ferma a 1.1...
I soliti "previdenti" incominciano a lasciare gli spalti per evitare la calca e il traffico, ormai la partita e' finita, tanto vale andare via appena suona la sirena del time-out chiamato dai Milwaukee. Non sanno cosa stanno per perdersi.
Le squadre si schierano, siamo nell'area dei Wizards e il gioco riprende con una rimessa laterale (che nel calcio si chiama cosi', nel basket non so, ma insomma ci siamo capiti). Con due passaggi la palla arriva nell'angolo basso a Ramon Sessions e, prima che la sirena suoni, si stacca dalle mani del giocatore. Il tiro da 2 punti va dentro e il Verizon Center e' gelato.
Gli arbitri guardano il replay negli schermi e confermano la decisione.
I Milwaukee Bucks battono i Washington Wizards 110 a 109!
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