sabato 22 dicembre 2007

New York: il viaggio di ritorno / 4

Comincia a piovere durante l'ultimo giro per il mercatino di Union Square. Finisco di sorseggiare l'apple cider caldo all'entrata della metro.
Arrivato sulla Broadway, sotto la pioggia cerco la fermata. Non è molto chiaro, perché in giro non c'è traccia dei punti di riferimento indicati sul biglietto. Chiamo anche l'autista al telefono e, dopo un'attesa più lunga del previsto, sotto la pioggia, e in punto diverso dalla fermata indicata sul biglietto. Ma tant'è, alla fine il pullman arriva e questo basta.
Il viaggio è un'odissea. L'arrivo è previsto per mezzanotte ed è passata l'una quando l'autista, seguendo le indicazione di due tizi, cinesi come lui, continua a vagare per la tangenziale di Washington. Il cicaleccio continuo è esasperante, in particolare quello di una ragazza che parla in continuazione.
Presto mi accorgo che il ritardo è dovuto a un fatto a dir poco sconvolgente: si sono persi!
Dopo circa un'ora, il pullman si ferma in un parcheggio sperduto chissà dove, i sette otto cinesi scendono e si mettono a scaricare dei pacchetti in un macchina. La fermata non era prevista e vado subito a protestare con l'autista, che mi liquida seccato. Gli chiedo se ha intenzione di pagarci un taxi per andare a casa, visto che nel frattempo la metropolitana ha chiuso.
Sono sorpreso anche dall'indifferenza di tutti gli altri passeggeri, a cui evidentemente tutto questo sembra normale.
Entriamo finalmente a Washington DC, ma presto ci accorgiamo che il pullman si dirige dritto verso la seconda fermata. Una ragazza chiede all'autista che ne è della prima fermata e lui risponde che non c'è una prima fermata, che lui va dritto a Chinatown.
Il motivo ci risulta presto chiaro: non ha la minima idea di dove andare, non conosce la strada. Oltre a questo continua ad avere un atteggiamento indisponente e ostinatamente si dirige verso la sua amata Chinatown.
Dopo insistenze varie, guidato dalla ragazza seduta dietro di me (...make a left, make a right...). Ci porta finalmente a destinazione: Foggy Bottom, George Washington University.
Sono le due di notte. Divido il taxi con la ragazza "navigatrice", che va nella stessa direzione.
Quando lei scende, scambio due chiacchiere con il tassista, afghano di Kandahar, da 30 anni negli USA. Gli dico che ho lavorato con degli afghani, dei rifugiati, che in Italia ce ne sono molti. Ci salutiamo in persiano.
Vado a dormire: fra poche ore si torna in ufficio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Auguroni Marco...buon Natale di tutto cuore!!!!